La legge n. 137 del 2023, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 9 ottobre scorso, di conversione del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, c.d. “Decreto Giustizia 2023” ha introdotto alcune importanti novità sul fronte della compliance aziendale che potrebbero avere un impatto significativo su enti e società.
Uno dei punti salienti della nuova normativa è certamente l’espansione del catalogo dei reati presupposto del D. Lgs. 231 del 2001 concernente la responsabilità amministrativa per reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società per ciò che riguarda i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni e la partecipazione degli enti alle procedure ad evidenza pubblica.
In particolare, l’articolo 6-ter, comma 2, lettere a) e b), del decreto ha ampliato il numero delle fattispecie il cui coinvolgimento può comportare la responsabilità amministrativa da reato ex d.lgs. 231/2001 con conseguenze significative per le società in termini sia finanziari che operativi, a causa della particolare afflittività delle sanzioni interdittive previste.
Nuovo inserimento di rilievo è il reato di “turbata libertà degli incanti” (art. 353 c.p.), che punisce chi impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto delle Pubbliche Amministrazioni ovvero ne allontana gli offerenti; reato questo, che può configurarsi anche in caso di licitazioni per conto di privati dirette da un pubblico ufficiale o da persona autorizzata ex lege.
Al fine di percepire correttamente le nuove aree di rischio che le aziende potrebbero trovarsi ad affrontare, è essenziale considerare il rigore con il quale la giurisprudenza applica queste disposizioni: la Cassazione, ha infatti chiarito che il turbamento di una gara si verifica quando la condotta fraudolenta o collusiva è solo potenzialmente in grado di influenzare la regolare procedura della gara, anche se non causa effettivamente un’alterazione dei risultati (Cass. pen., Sez. II, Sentenza, 23/06/2016, n. 43408, rv. 267967).
Il reato di turbata libertà degli incanti è stato, peraltro, ritenuto configurabile in ogni situazione nella quale la Pubblica Amministrazione debba procedere all’individuazione di un potenziale contraente mediante una gara, a prescindere dalla denominazione della procedura ed anche in assenza di specifiche formalità (Cass. Pen., n. 13124/2008).
Anche l’art. 353-bis c.p. che sanziona la “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” viene aggiunto all’elenco dei reati presupposto 231.
Questo reato, a differenza della turbata libertà degli incanti anticipa la tutela penale alla fase (antecedente) di approvazione del bando di gara e punisce il comportamento di coloro che, collusi con la stazione appaltante, cercano di ottenere la redazione di bandi di gara che siano in grado di predeterminare la platea dei potenziali concorrenti.
Quanto alla sanzione pecuniaria irrogabile all’ente, l’art. 24 d.lgs. 231/2001 ne prevede l’applicabilità fino a 500 quote, ovvero da 200 a 600 quote se l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità.
Altro innesto che merita particolare attenzione è poi il reato di “trasferimento fraudolento di valori” (art. 512-bis c.p.), che riguarda l’attribuzione fittizia di denaro, beni o altre utilità per eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, o per agevolare la commissione di reati di ricettazione, riciclaggio o impiego di denaro o beni di provenienza illecita (648, 648 bis e 648 tre c.p.), con una sanzione pecuniaria da 250 a 600 quote e, in caso di condanna, con l’applicazione dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o della revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni; del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Sul tema della sanzione pecuniaria è opportuno ricordare che la medesima è divisa in quote, comprese tra 100 e 1000, a seconda della gravità dell’illecito e che valore di ciascuna quota varia tra un minimo di 258 euro e un massimo di 1.549 euro, in base alle condizioni economiche dell’ente.
Il giudice determinerà la sanzione prendendo in considerazione entrambi i criteri: per l’individuazione del numero di quote si terrà conto della gravità del fatto, del livello di responsabilità dell’ente e delle misure adottate per risolvere la situazione e prevenire futuri illeciti; per quanto riguarda invece l’importo di ciascuna quota, si tiene conto delle condizioni economiche dell’ente per garantire l’efficacia della sanzione.
In base a queste regole, la società condannata potrebbe dover pagare una somma prossima al milione di euro, a seconda della gravità dell’illecito e delle sue condizioni economiche.
Alla luce delle nuove disposizioni sarà quindi opportuno, per le aziende, valutare la necessità di aggiornamento dei propri Modelli organizzativi per renderli coerenti al rinnovato impianto normativo, ovvero implementare i presidi di controllo interni nel caso in cui siano riscontrate delle carenze su aree sensibili dei processi aziendali.