Birkin e Kelly di Hermès, semplici borse ?

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Segna una svolta il giudizio in Cassazione relativo al contenzioso tra la maison del lusso Hermès e un produttore toscano di pelletteria.

L’azienda francese, che commercia l’iconico modello di borsa ispirato all’attrice inglese Jane Birkin, un accessorio che notoriamente è in grado di raggiungere quotazioni fuori dal comune, ha citato in giudizio l’azienda toscana lamentando la riproduzione non autorizzata dei propri modelli “Birkin” e “Kelly”registrati in UE come marchi di forma o marchi tridimensionali.

Sia il Tribunale in primo grado, che la Corte di Appello di Firenze avevano dato torto ad Hermés dichiarando la nullità dei due marchi, ritenuti privi di capacità distintiva, con la rilevante conseguenza che chiunque potrebbe produrre e vendere borse della stessa forma della Kelly e della Birkin.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30455 del 17/10/2022 accoglie il ricorso proposto da Hermès.

La pronuncia è di particolare interesse perché affronta in modo compiuto la questione relativa alla possibilità di registrare un modello come marchio di forma e di ottenerne la relativa tutela legale.

Secondo il Codice della Proprietà Industriale, infatti, la forma di un prodotto, sebbene presenti un design di qualità o esteticamente apprezzabile, non è di per sé suscettibile di essere registrata come marchio, poiché, di regola, non è idonea a identificare il produttore.

Chiaro al riguardo l’art. 9 del c.p.i. che esclude la registrazione come marchi d’impresa dei «segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto» e «dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto».

La possibilità di ottenere la registrazione del marchio c. d. di forma e la conseguente tutela legale che ne deriva, ruota attorno al concetto di capacità distintiva del prodotto medesimo cioè della sua capacità di distinguerlo dai prodotti delle altre imprese (art. 7 c.p.i. secondo cui: “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti  a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese”).

Complementare al concetto di capacità distintiva è quello di secondary meaning cioè di quel fenomeno per cui un marchio, privo originariamente di carattere distintivo, lo acquisisce grazie all’uso che dello stesso viene fatto, guadagnando così notorietà.

Un principio che possiamo ritrovare anche nell’art. 13 del nostro Codice della Proprietà Industriale che al secondo comma recita “…possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo.  

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I modelli Birkin e Kelly rispettano i canoni delle borse ordinariamente in commercio o sono dotati di capacità distintiva?

La Cassazione affronta la questione sostenendo che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che le borse Kelly e Birkin rispettano nel loro insieme i parametri canonici delle borse normalmente in commercio poiché dotate di forme “standard”, non ha motivato le ragioni del difetto di capacità distintiva dei marchi sia in origine, sia alla luce dell’uso e della fama acquisita (secondary meaning).

Secondo la Suprema Corte, quindi, i giudici di merito avrebbero dovuto affrontare in modo puntuale la specifica questione dell’acquisizione del carattere distintivo anche a fronte della mole di documenti prodotti da Hermés a sostegno della propria domanda costituita da inserzioni e annunci pubblicitari, rassegne stampa, articoli sulla stampa internazionale di giornalisti ed esperti di moda e di tendenza, citazioni cinematografiche e serie televisive, citazioni enciclopediche.  

Secondary meaning: l’acquisto della capacità distintiva attraverso gli investimenti pubblicitari

La possibilità di registrare come marchio anche la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche quando aventi capacità distintiva (art. 7 c.p.i.), può avvenire anche in virtù di investimenti pubblicitari che consentano una commercializzazione del prodotto su larga scala, con l’effetto di favorirne la diffusione nel pubblico e la generalizzata riconducibilità di quella forma del prodotto a una determinata impresa, consentendo l’acquisto (tramite secondary meaning) di capacità distintiva del marchio che ne sia originariamente privo.

La Cassazione, inoltre, richiama sul punto la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la quale ha costantemente ribadito come “ai fini della valutazione dell’acquisizione di un carattere distintivo mediante l’uso, occorre tener conto di fattori come, fra l’altro, la quota di mercato detenuta dal marchio, la frequenza, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo e la percentuale degli ambienti interessati che identifica, grazie al marchio, il prodotto come proveniente da una determinata impresa. Mezzi di prova adeguati in proposito sono, in particolare, le dichiarazioni delle camere di commercio e d’industria o di altre associazioni professionali” (Tribunale I grado CE, 14 giugno 2007, T-207/06).